Parità di genere nel business

Nadège Dazy, esperta di questioni di uguaglianza di genere nel business, risponde alle nostre domande e ci da la sua analisi dei principali ostacoli all'uguaglianza.

Gli ostacoli all'uguaglianza professionale sono un riflesso delle disuguaglianze nella società. Per capire le ragioni di queste disuguaglianze, vi invito a tornare indietro nel tempo ed a fare un breve viaggio nel passato.

Innanzitutto, da un punto di vista giuridico, va ricordato che per decenni donne e uomini semplicemente non hanno avuto gli stessi diritti.

Nel codice civile francese (Codice Napoleone) promulgato nel 1804 e che peraltro ispirò molte democrazie, le donne erano assimilate a minorenni. Questa incapacità civile verrà revocata nel 1938, più di un secolo dopo.

Accanto a queste disuguaglianze legali, va ricordato che le riforme linguistiche hanno avuto un impatto significativo anche sulla nostra percezione delle relazioni sociali. Oggi, come sappiamo, la lingua non è neutrale e nel corso della storia varie riforme hanno avuto lo scopo e l'effetto di cancellare dal vocabolario francese parole che descrivono in particolare professioni femminili come poetessa, filosofa, dottoressa, autrice, decana,... l'idea è di far sparire le donne dalle dotte professioni per lasciarle nelle mani di alcuni (quello che vuol dire gli uomini bianchi che già esercitano il potere). D'altra parte, va notato che la panettiera, la contadina o l'attrice hanno persistito, queste professioni non minacciando troppo la gerarchia del potere in atto.

Il mondo scientifico non faceva eccezione: ha ampliato le disuguaglianze e ha svalutato le donne. Nel 1861, il padre fondatore della neuro-anatomia (Paul Broca) affermava: “Ci chiedevamo se la piccolezza del cervello femminile non dipendesse esclusivamente dalla piccolezza del corpo. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che la donna media è un po' meno intelligente dell'uomo".

Queste idee e queste concezioni sono però il prodotto di un'epoca lontana e passata, si potrebbe dire, ed è storicamente vero.

Le leggi, la scienza ed anche la società hanno evoluto.

Tuttavia, tutte queste concezioni, tutte queste rappresentazioni hanno forgiato anno dopo anno le nostre rappresentazioni collettive di ciò che è maschile e di ciò che è femminile. Ricordate, è stato solo nel 1965 che, in Francia, le donne hanno potuto lavorare senza il consenso del marito, proprio come aprire un conto in banca. 1965, un tempo non così lontano.

Ancora più vicino a noi, negli anni '90, il libro di John Gray che ci spiegava che le donne sarebbero venute da Venere e gli uomini da Marte è stato un successo planetario, rafforzando le tesi naturaliste di sesso e di genere che pongono il postulato che donne e uomini avrebbero competenze specifici del loro sesso e che questi sarebbero spesso contrastati. Le donne sarebbero sensibili, naturalmente competenti a prendersi cura di un bambino o anche brave ad ascoltare, mentre gli uomini sarebbero intraprendenti, attratti dal potere e leader innati.

Queste rappresentazioni, anche se scientificamente infondate, ci permeano e hanno un impatto sulla vita delle ragazze e dei ragazzi, delle donne e degli uomini.

Queste rappresentazioni, le condividiamo tutti con intensità diverse.

Queste rappresentazioni sono alla base degli stereotipi che Belinda Cannone descrive come "un insieme di credenze interiorizzate e di costruzioni intellettuali (quasi sempre a nostra insaputa) trasmesse attraverso la cultura e la lingua, e che formano il fondo delle nostre idee, raccontandoci, per esempio, prima ancora di pensarci, cos'è una donna. »

Come ha mostrato Françoise Héritier con il suo concetto di valenza differenziale dei sessi, queste credenze stereotipate (completamente normali da un punto di vista neurale) non implicano lo stesso livello di valore per ciò che è femminile o ciò che è maschile. Ciò che culturalmente si riferisce al maschile è più apprezzato (finanziariamente e anche simbolicamente) di ciò che è attribuito al femminile. Per una donna è più gratificante avvicinarsi a una professione cosiddetta "da uomo", e questa viene peraltro interpretata come una forma di ascesa sociale, mentre per un uomo che sceglie una professione cosiddetta "da donna" questo orientamento sarà considerato una forma di “degrado” sociale.

Di fronte a queste diverse osservazioni, possiamo affermare che le nostre rappresentazioni e i nostri stereotipi, che quindi non sono né casuali né il prodotto del determinismo naturale ma della nostra storia e della società, sono quindi i primi ostacoli all'uguaglianza.

Sono questi stereotipi che entrano in gioco anche nel rapporto con la maternità al lavoro, considerata dall'82% delle donne come un ostacolo allo sviluppo della carriera.

Ancora oggi, le donne che vogliono avere figli, quelle in gravidanza così come quelle che tornano al lavoro dopo il permesso di maternità sono ancora spesso vittime di discriminazione e di sessismo al lavoro, come dimostra regolarmente l'avvocata Elise Fabing sul suo account IG. Inoltre, questi stereotipi sulla maternità, anche se scientificamente infondati, possono essere interiorizzati anche dalle donne stesse. Questo si chiama "autocensura". Di fronte a questo termine, che tende a rendere le donne partecipe del problema legato alle disuguaglianze, è importante rifocalizzare il dibattito. Questa autocensura non è solo un problema femminile, invece è quello di una società sessista che continua ad assegnare ruoli di genere a donne e uomini consapevolmente e inconsapevolmente. Non spetta quindi alle sole donne sollevare e risolvere questo problema, invece spetta a tutta la società e anche alle aziende, in particolare mettendo in atto meccanismi che neutralizzano gli effetti dannosi degli stereotipi.

Il problema degli stereotipi, quindi, non è averli, è piuttosto il fatto di non esserne consapevoli e di agire solo sulla base di questi !

Una strategia di uguaglianza in un'azienda si svolge generalmente in 4 fasi principali.

La prima fase è quella dell'avvio del processo. L'obiettivo è creare una vera sinergia: maggiore è il numero di persone coinvolte, più l'approccio egualitario avrà un forte impatto.

La seconda fase è l'inventario, della visibilità e della consapevolezza delle disuguaglianze. Ciò che non è nominato, non esiste. Avere una rappresentazione di ciò che è (soprattutto riguardo ai promozioni, alla formazione, ai classificazioni) così come di ciò che si sente (atteggiamento ostile, sessismo, molestie, ecc.) è fondamentale per poter poi declinare le azioni giuste. Questo passaggio è anche un passo unificante quando viene eseguito e condiviso da un collettivo di persone diverse. 

Il terzo passo è il piano d'azione. Ricordiamo che oggi in Francia c'è l'obbligo per le aziende con più di 50 dipendenti di elaborare un piano d'azione o negoziare un accordo sulla parità.

È importante trovare in questo piano d'azione obiettivi di avanzamento per l’anno successivo, indicatori quantificati che rendono possibile il monitoring dei risultati, le azioni definite per raggiungerli, le loro scadenze e la valutazione dei loro costi. La formulazione di obiettivi specifici e l'impostazione regolare dei progressi per fasi ti consente tempo per progredire. Non si può cambiare una cultura e una mentalità aziendale in un giorno!

Gli ambiti che vengono coperti dal presente piano di azione sono i seguenti: assunzione, formazione, promozione professionale, qualificazione, management, condizioni di lavoro, salute e sicurezza al lavoro, remunerazione effettiva ed equilibrio tra attività professionale e vita personale e familiare.

Infine, la quarta fase è il follow-up. Questo passaggio è fondamentale per misurare le evoluzioni e per rettificare la situazione, se necessario!

Un approccio di uguaglianza è quindi un approccio globale che deve essere sostenuto e incarnato dal management. È anche un approccio inclusivo e collettivo che coinvolge tutte e tutti i dipendenti e sensibilizza in particolare gli attori e le attrici in prima linea come le risorse umane e il management in modo che si assumano la responsabilità dell'approccio e ne conoscano i loro vantaggi per la vita di ogni giorni. Insomma è un approccio aperto che ci consente di fare un passo indietro rispetto ai sistemi consolidati e di mettere in discussione gli stereotipi di genere in vigore nelle nostre società.

Per rispondere a questa domanda, vi invito a farvi altri domande.

Chi non può più esprimersi ? L’intera popolazione o persone specifiche? Chi rivendica generalmente questo diritto di parola? Nella mia pratica, sento spesso questa frase nelle parole di persone preoccupate per i cambiamenti sociali e legislativi che stanno sconvolgendo un ordine consolidato. Tutti noi possiamo esprimerci però

" Dire nulla ". Cosa non si può più dire esattamente? Da parte mia, penso che abbiamo guadagnato in libertà di parola negli ultimi anni. Tuttavia, se "nulla" si riferisce a commenti sessisti, omofobi, razzisti, insomma commenti ostili... allora sì, la società e il diritto stanno evolvendo e oggi questi commenti non sono più tollerati e sono sanzionati. Non so cosa ne pensate, ma lo trovo molto positivo.

Inoltre, non è vero che uno dei principi fondamentali della vita nella società è "La libertà di alcuni finisce dove comincia quella di altri"?

Se non sempre siamo consapevoli dei nostri pregiudizi sessisti come abbiamo visto in precedenza né delle conseguenze delle nostre parole e delle nostre azioni, abbiamo comunque sempre la possibilità di verificarne l’impatto. Dobbiamo rimanere attenti alle persone che ci circondano.

Perché, come ha dimostrato la giurisprudenza, gli "scherzi" o le osservazioni devono essere sempre analizzati rispetto alla percezione ed ai sentimenti provocati nella persona che li riceve e non solo rispetto alla volontà di chi li fa.

Dal 2013! No, non stai sognando! Nonostante fosse stata disattesa da tempo, la legge che vietava alle donne di indossare i pantaloni era ancora in vigore fino a pochi anni fa ed è stata effettivamente abolita solo nel 2013. Questa legge risale al 1800 ed è stata introdotta per impedire alle donne di esercitare lavori riservati agli uomini. Quando dicevamo all'inizio di questo articolo che il peso della storia era importante...


 

Nadège Dazy

Nadège Dazy è esperta in parità di genere a livello professionale, prevenzione della violenza sessista e sessuale, sostegno alla genitorialità egualitaria e all'educazione non stereotipata. Ha ricoperto incarichi sia all'estero in organizzazioni internazionali e ONG, sia in Francia nel settore pubblico e privato.

Florie Benhamou